Nonna l'elefantessa

La nonna paterna si chiamava Bruna.

Era la mia nonna preferita, con la quale andavo in montagna da bambina, e da cui da ragazza mi recavo in motorino per confidarmi e ritrovare gli amati biscotti che regolarmente mi comprava.

Nonna mi raccontava delle sue vicissitudini passate.

La morte del fratello gemello di mio padre a poco tempo dalla nascita.

L'incidente della figlia Anna di otto anni che le costò la vita, investita mentre usciva dall'oratorio da un gerarca fascista con l'unica automobile del paese. 

E di mio nonno che lavorando nei campi sul trattore udì le grida dei compaesani: "Hanno ucciso la figlia di Rino!".

Nonna conservava una fotografia della sua piccola Anna. 

Una bella bambina dagli occhi scuri con una folta treccia di capelli neri.

La nonna faceva la bidella nella scuola di campagna e ancora ricordo i banchi di legno, col foro per il calamaio, la lavagna d'ardesia, vecchi quaderni sgualciti.

Nonna Bruna per due volte fu ricoverata al sanatorio con la tubercolosi, andavamo a trovarla in montagna.

Quando fui grande mi narrò che mentre lei all'alba si recava a fare le punture alle vicine di casa, il nonno restava nel letto assieme ad un'altra donna. 

Ma a quei tempi era normale così, poichè le mogli non avevano altra scelta, se non abbandonare la casa coniugale per ritrovarsi in strada coi figlioli, essendo dipendenti non solo economicamente dai mariti.

Nonna Bruna, donna minuta, aveva la forza d'animo di un elefante per sopportare tutte le sofferenze subite nella sua esistenza.

Nonostante ciò, la nonna era simpatica e saggia. Spesso chiedevo consiglio a lei sulle questioni d'amore.

Il nonno invece con l'arteriosclerosi diventava sempre più irascibile, imprecando e colpendo il televisore quando appariva il Papa, da indomito comunista qual era.

Poi si aggravò e cominciò a vedere un uomo seduto in cima all'armadio.

Colpito da ictus cerebrale, all'ospedale mi incitava a salire sul trattore, e pretendeva sempre di usare il pappagallo.

Finchè non gli dissi che era volato via, e quindi si adattò alla situazione.

Una volta lo trovai col polso legato alle sbarre del letto, agitandosi perchè voleva grattarsi, per cui intimai alla badante di liberarlo immediatamente, e affinchè non si staccasse la flebo di tenergli la mano, visto che era pagata per assisterlo.

Subito dopo fu licenziata.

La nonna veniva spesso a trovarci in bicicletta, e di lei ho i ricordi delle mentine colorate acquistate dal droghiere e degli ornamenti indiani che costruivamo con le foglie raccolte in pineta.

Nonna Bruna non piaceva molto a mia madre perchè nelle diatribe famigliari difendeva sempre suo figlio, mio padre.

D'altronde era l'unico figlio superstite.

Figlio che pur seguendo le orme infedeli del padre, comunque accudiva sua madre.

Oggigiorno le famiglie sono differenti, le nuove generazioni non riconoscono più valori e sentimenti quali rispetto, riconoscenza, gratitudine.

Probabilmente noi genitori finiremo collocati in qualche struttura per anziani. 

In attesa dell'ultimo saluto.

Nonna Bruna, sopravvissuta alle privazioni della vita, salutava sempre mille volte prima di andare via.

Nella cultura africana gli elefanti anziani si recano in un luogo segreto a morire da soli.

Gli elefanti non dimenticano mai, forse per questo vogliono giacere in solitudine.

I pachiderma piangono alla perdita di contatto fisico con la madre.

I branchi di elefanti sono matriarcali, guidati dalle femmine più anziane.

I pachiderma riconoscono l'importanza delle nonne elefantesse.

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