Grammatica della fantasia e l'identità di genere

“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore… Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni…”

Sono parole di Gianni Rodari, per descrivere il suo libro "Grammatica della fantasia. Introduzione all'arte di inventare storie".

E ci vuole una grande fantasia oltre che per inventare storie ad interpretare la realtà odierna.

Ho cresciuto i miei figli nell'inclusività, nel rispetto degli altri, contro ogni discriminazione sessuale, razziale, etnica, religiosa, o di genere.

Ma il mio Verbo è la grammatica della lingua italiana, a cui mi inchino fin da bambina, quando trascorrevo ore a leggere libri, e a scrivere poesie, racconti, storie.
 
Scrivere mi ha salvato sovente la vita, e correggere l'italiano mi viene naturale come bere. 

Ma ora mi ritrovo ad affrontare la prova più dura, ovvero come coniugare il rispetto della grammatica italiana col rispetto dell'identità di genere?

Ebbene sì confesso che detesto la schwa, quella lettera capovolta che indica il genere neutro, e concordo con l'Accademia della Crusca che considera la lingua italiana già completa e perfetta così com'è.

Il quesito esistenziale mi viene posto dalla mia nipotina per i compiti delle vacanze: deve scrivere i nomi delle zie e degli zii suddividendoli tra maschile e femminile.

Vuole inserire lo zio nella casella delle zie poichè lui si fa chiamare zia. Corretto dal punto di vista etico, meno da quello grammaticale.

Dopo lungo dibattito tra me e lei spiegandole che le regole della grammatica non ammettono eccezioni e quindi l'inserimento dello zio nell'elenco delle zie potrebbe risultare un errore per i maestri, decide di inserire il nome dello zio nella casella dei nomi maschili.

Ammetto di aver tirato un sospiro di sollievo.

Ma non finisce qui, dopo pochi giorni ammaliata dai libri di barzellette ne inventa una e me la racconta:
"Se Fra al femminile si dice Fra al maschile diventa Fro?!".

Ridendosela come se non ci fosse un domani.

Io abbozzo un sorriso e divago, o meglio vago nei meandri del mio raziocinio, ma per fortuna è già passata alla barzelletta seguente.

Poi mi sovviene quando da più piccola chiedendole perchè si rivolgesse allo zio al femminile mi rispose candidamente che era lui a volere essere chiamato così.

Nulla da eccepire, nella sua logica bambina senso e risposta erano da "Ok il prezzo è giusto".

E mo' a 'sto punto me tocca pagà a la romana.

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