Geni albini
Leopolda, così si chiamava la mia nonna materna.
Una donna asciutta, che stava assente per mesi a lavorare nelle risaie, e forse per questo non è stata mai affettuosa con mia madre.
Anche la mia mamma andò a lavorare nelle risaie, e come le sanguisughe che si attaccavano ai polpacci nudi, probabilmente è stato tramandato il gene dell'anaffettività.
Quante volte tua madre ti ha spazzolato i capelli? E quante volte li hai spazzolati ai tuoi figli?
Che poi un conto è una spazzolata rapida nevrotica quasi frustante e frustrante, dettata dai tempi di lavoro e dalle preoccupazioni; altro una spazzolata morbida, carezzevole, dai ritmi lenti delicati e dedicati.
Comunque la Peppina, come veniva appellata da tutti, perlomeno si sbizzarrì coi nomi dati ai figli.
Armida, nominativo presumibilmente tratto dalla Gerusalemme Liberata, sebbene la nonna fosse analfabeta.
Afro, di cui non ci è dato sapere se derivante dall'Africa o dalle guerre mussoliniane in Libia.
Iraide, nome che pare frequente in Russia e in America Latina, anche se la nonna ha viaggiato solo sui treni per le risaie.
Infine Natalina, la figlia dal nome più scontato essendo venuta alla luce in Natività.
Anche la mia nipotina è nata nella festività natalizia, ma grazie al cielo tradizione sconfessata.
Lo zio Afro era un mito.
Si fece tutte le scuole differenziali per poi lasciare una mano sotto al treno.
E girava per il mondo col suo pugno di legno ricoperto da un guanto di lana.
Assai inquietante alla vista di una bambina piccola nei pranzi parentali domenicali.
Lo chiamavano matto, ma tanto folle non era visto che circumnavigò l'intero globo.
Invece lo zio Giulio, marito della zia Iraide, circolava in motorino per osterie.
Sovente cascando nei fossi, dove la zia lo andava a recuperare.
Di lui si tramandava la triste storia del ritrovamento ahimè fatale, nel gabbiotto che fungeva da gabinetto sito fuori casa, d'uso nelle campagne all'epoca.
Della nonna Leopolda, e del relativo nonno consorte, ricordo poco o nulla.
Forse non era adeguata a fare la nonna, magari non per volontà sua ma per le circostanze della vita, oppure a causa dei geni stitici elicoidali.
Rammento però la campagna, la cagnolina Lilli e le galline che zampettavano in cucina.
Prima che alla meschina prescelta venisse torto il collo per fare il brodo dei tortellini.
Da nonna Peppina e zia Iraide, che vivevano nella stessa casa, si beveva l'acqua col mestolo appeso sopra al lavabo.
E si dormiva nell’alto lettone riscaldato dal "prete", che non era un clericale lussurioso bensì lo scaldino con dentro le braci.
Mentre nel comodino si teneva il vaso da notte e nel gabinetto fuori casa ci si puliva coi fogli di giornale.
Alfine nella memoria mi sono rimaste impresse le stie dei conigli.
Poveri, stipati e pronti ad essere presi per le orecchie, scuoiati e fatti arrosto.
Da bambina osservavo affascinata il loro moto perpetuo, uno sopra dietro l'altro, quel ritmo frenetico, un lampo, un distacco, che fu la mia prima educazione sessuale.
Non c'erano maiali, a parte uno zio acquisito non consanguineo. Il ricorrente molestatore seriale, amico di famiglia.
La zia Iraide ha vissuto i suoi novant’anni in estrema semplicità e bontà, col suo essere un pò bambina nonostante i capelli canuti già in giovane età.
Dall'albero genealogico materno, l'eredità ha fruttato alla progenie il candore della chioma.
Geni albini.
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