Principessa in soffitta

Gennaio 2008

Ci ho messo un anno intero a finire di pagare bollette, bolli, tasse, conti della spesa, affitti, rate condominiali, libri di scuola, testi di economia aggiornati ancora alla lira.

Mentre ho già ipotecato i prossimi dieci anni lavorativi ad un tasso usuraio.

Se è pur vero che coi soldi non si compra tutto, comunque ci si cura la salute, si va ad una mostra, un concerto o a teatro, si legge un quotidiano, si paga la connessione a Internet, o si raggiunge l’amore lontano pagando un biglietto del treno.

Nel ruolo di genitore ci si può permettere di far studiare i figli, di non farli lavorare sfruttati e sottopagati, si può comprare quel jeans che a loro piace tanto, oppure acquistare qualcosa per sè per sentirsi piacenti e giovanili.

Ma soprattutto si possono avere occhi sereni con cui guardare l’alba.

Perlomeno anche per questo mese si dorme sotto un tetto, c'è caffè in abbondanza e sessanta zuccherini, che divisi per trenta fanno ben due zuccherini quotidiani.

Cosa barattare per due zuccherini al giorno?

Un giornale, se ne vale la pena, un caffè se non troppo ristretto, il biglietto del bus per viaggiare prudenti, un pacchetto di sigarette da dieci, un gratta e vinci da miracolo di Lourdes.

Il denaro non è tutto, per chi ce l'ha, però condiziona la vita.

Ad esempio se manca, non puoi invitare a casa gli amici o un amore, non puoi uscire fuori tra la gente, non puoi se donna mostrarti graziosa o se uomo offrire una pizza.

Non puoi essere ospitale, non sei generoso, non sei quel che sei.

Povertà ha una sua dignità, pure se qualcuno si suicida dalla vergogna.

Sono nata povera.

Da bambina abitavo in una soffitta, col bidet di plastica col treppiede e la mastella.

Nella bacinella ci facevamo il bagno a turno noi sorelle al sabato, in cucina riscaldata dalla stufa a legna coi cerchi.

Dalla mia soffitta guardavo il mondo a sbarre da un finestrino, come in una cella, con occhi indiani a scrutare l'orizzonte.

Ma la stanza mi pareva infinita, commisurata alla mia statura nana.

Mi piaceva leggere il libro di una principessa che viveva in un abbaino, perchè mi pareva la mia storia.

Il mio tempo lo trascorrevo solitaria nel cortile, evitando le cantine, dove c'era l'uomo col sacco pronto a portarmi via.

Alla domenica finalmente una botta di vita, mi si comprava Topolino, il gelato e un giro in giostra al parco.

Da ragazza poi, con un pupetto in lavorazione dentro la pancia, ho imbiancato un appartamento pieno di scarafaggi, per preparare il nido d'amore, e indossavo jeans perchè non potevo acquistarmi le calze velate.

In seguito da madre vagavo con una bimbetta di quattro anni per mano, a vendere oro usato come all'epoca della persecuzione agli ebrei, mangiando pane e mele, dieta consigliata per perdere dieci chili in un mese.

Quanti giri ho fatto al banco dei pegni, a depositare preziosi ricordi e a prelevarli.  

Da cittadina invece mi sono ritrovata senza casa, senza soldi, senza giustizia, con uno sfratto esecutivo ed un trasloco fatto da due femmine sole, io e una ragazzina sotto esame di terza media.

Ora in età matura, fatico a tirare avanti come tutti, tra conti, bollette, maledizioni al fisco, al governo, alle banche, alle assicurazioni, all'universo intero.

Alfine arrivano i conti della serva.

E qui non parliamo più di soldi.

Ma dei bilanci, delle pagelle come genitori, dei figli alieni e ansiosi nel temere che padri o madri li oscurino nella loro crescita e ricerca di identità.

Sono i conflitti tra generazioni, quante volte ho detto coglione ai miei figli, e quante volte loro l'hanno pensato di me, anche se mai espresso per rispetto verso il ruolo genitoriale.

Il mio bilancio dice che ho due figlioli.

Una brava a scuola, l'altro non ha voluto studiare. 

Lavoratori uno a tempo indeterminato, l'altra precaria stagionale.

Il maggiore introverso, la minore estroversa.

Entrambi coi loro non lo so, indolenze, pigrizie tipiche dell'adolescenza.

Io ho fatto i miei errori, loro altrettanto, ma tutto sommato ci vogliamo bene, e questo basta.

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