Non ho fatto niente
Agosto 2009
Non ho fatto niente.
Cominciò all'asilo dalle suore, a cinque anni, odio le suore ipocrite e non cristiane.
Dal cuore serrato, come la sala giochi aperta solo una volta all'anno per la foto da vendere ai genitori.
Quel ben di Dio di giocattoli, pupazzi, il telefono, che come ET avrei chiamato casa, per dire portami via.
Il primo giorno d'asilo non volevo stare, all'epoca la pedagogia famigliare era assai basilare, il mio inserimento fu uno schiaffone e muta.
Le suore ci portavano una volta alla settimana a vedere i filmini dei santi, ma come le scimmie tiravano i capelli, ed io facevo finta di dormire trattenendo il respiro, affinchè non s'accorgessero di me.Ce n'era una particolarmente cattiva, baffuta e grassoccia, una virago in tonaca che ogni spillo che conficcavo in una spugna per comporre un disegno, l'avrei conficcato in quel flaccido deretano, quale rito vudù.
Per un anno feci lo sciopero della parola e la protesta del silenzio, già ribelle a modo mio.
Simile alla caramella col mio nome che la nonna mi regalava, dura fuori e morbida dentro.
Altre sberle le presi perchè non volevo portare le ciabatte a mio padre di ritorno a casa, ma mica ero un cane, difatti avevo ragione io.
Le ultime le ricevetti a sedici anni, poichè rientravo troppo tardi alla notte.
Non stavo facendo nulla di male, neppure mi drogavo, ero solo impegnata a fare l'amore.
Alle scuole superiori la vicepreside si arrabbiò talmente da procurarsi un ictus cerebrale.
Non era colpa mia, bastava mantenesse la calma e ci ascoltasse oltre a recepire le sacrosante istanze dei giovani studenti.
Correva l'anno caldo del settantasette.
Poi i tempi della politica, con la compagna che si fumava la sigaretta dalla parte della brace, poi divenuta onorevole, probabilmente si fumava pure altro, tipo i sigari.
Ma anche all'ala estrema di sinistra, non ebbi fortuna coi lorsignori censori rifondatori.
La sola colpa mia fu di rimandarli al demone del gulag, giocandomi così la tessera di giornalista.
A seguire il mio ventre lievitò, per un figlio desiderato, ma siccome il padre volle comunque partire per l'America e al ritorno non sapeva più se amarmi, fu spedito al confino coniugale.
Nel periodo infernale vidi il mio bambino stare male e mia madre malata terminale.
Stressata dal lavoro e dalle corse all'ospedale, tornavo a casa e aiutavo il bimbo a fare i compiti, dato che a scuola non riusciva ad imparare.
Assai stressata una volta gli tirai i bei capelli ricci, proprio come le suore cattive. Gesto di cui ancora oggi mi pento e chiedo venia.
Poi ho capito che la cattiva era la maestra. Lo salvai dalle sue grinfie cambiandogli scuola.
Ma ormai bruciata la mia immagine di mamma buona.
Ritornai in seguito con l'Amerigo, caravella per anni una e trina.
Sebbene nulla facessi di sbagliato, anzi la sola cosa giusta ossia una piccina da me voluta, lui mi trascinò in un gorgo abissale che risucchiò ogni benessere, la casa, e i sentimenti di fiducia, stima ed amore.
Mai nessun uomo mi sfiorò finchè rimasi sposa.
Da lui, sleale come sempre, fui contraccambiata seminando veleno coi figli, amici e parenti, ma alfine il tempo gli rese la pariglia.
Oltre al fallimento sentimentale, subii ulteriormente quello relativo all'acquisto di una casa.
Non è colpa mia, evidentemente sono negata per gli affari, facendo parte di quei pochi fessi che ancora credono all'onestà altrui.
E difatti mi sono persa tutto, in un Paese in cui i tribunali danno ragione ai loschi o ai furbi e giammai ai retti.
Anche l'amore mi ha lasciato, ma io non ho fatto nulla per fermarlo. E nulla v'era da fare, l'amore sia libero arbitrio.
Persino gli amici talvolta sono un pò come i parenti.
Non puoi mai sapere realmente chi ti vuole davvero bene.
Comunque vada, io non ho fatto niente. E niente continuo a fare.
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